Cass. civ. n. 539/1966 ha sancito che “Il risarcimento dei danni, nel caso di recesso ingiustificato dalla promessa di matrimonio, va limitato al solo rimborso delle spese e delle obbligazioni contratte a causa della promessa. (Nella specie è stato escluso che potessero risarcirsi, ex art. 81 c.c., i danni derivati dalla rinunzia spontanea ad un impiego, cui si era indotta la promissaria venuta in Italia lasciando il proprio posto di lavoro all'estero in vista del futuro matrimonio)”.
ll tribunale di Cagliari con la sentenza 16.02.2016 n. 487 ha affrontato il caso di una coppia che dopo sette anni di convivenza aveva deciso di contrarre matrimonio, tanto che la donna aveva già comprato diversi arredi per la casa e anche l’abito da sposa. Il compagno, “aveva immotivatamente rifiutato di sposarsi” e anzi, dopo aver percosso e minacciato la donna, “aveva invitato i genitori di quest’ultima, telefonicamente, a portarla via”.
La donna, quindi, aveva agito in giudizio, allo scopo di vedersi rimborsate le spese sostenute in vista del matrimonio.
L’uomo si difendeva osservando come egli si fosse rifiutato di sposarsi con la donna a causa della “sussistenza di incompatibilità di carattere tra i due promessi sposi affiorate durante la convivenza e dal comportamento invadente dei genitori della sposa, sempre presenti nella casa sia la mattina, quando egli era al lavoro, sia in occasione del suo rientro, e adusi a comportamenti insolenti nei confronti dei suoi amici che frequentavano l’abitazione”.
Inoltre, l’uomo riferiva che “l’attrice gli aveva telefonato per inveire con abbondante turpiloquio contro la propria madre, che, recatasi a casa loro, aveva calpestato il prato appena seminato, e, durante la serata, aveva lasciato l’abitazione in compagnia del padre, che gli aveva detto che non ci sarebbe stato alcun matrimonio, a causa di un litigio avvenuto tra loro per le vicende della mattina che lo avevano indotto a dire che se i propri genitori non potevano andare in casa loro, allo stesso modo non avrebbero potuto neanche quelli della promessa sposa”.
Peraltro, secondo l’uomo “i genitori dell’attrice, nelle settimane successive, gli avevano impedito di avere un chiarimento con la figlia e gli avevano anche fatto pressioni perché tornasse sui propri passi”.
Il Tribunale, alla luce di quanto emerso nel corso del processo, non riteneva di dover aderire alla domanda proposta dalla donna.
Secondo il Tribunale, “nel caso di specie, pur essendo stato documentalmente dimostrato che le parti avevano deciso di contrarre matrimonio (…) è rimasto altrettanto provato che la rottura del fidanzamento non era avvenuta “senza giusto motivo”, essendo essa frutto di una decisione sostanzialmente concorde delle parti sia pure indotta da un aspro litigio intercorso nella giornata del 9.4.2004, a circa un mese dalla data fissata per la celebrazione del matrimonio”.
Secondo il Giudice, infatti, “in merito, non è tanto rilevante il fatto che i futuri suoceri permanessero costantemente nell’abitazione delle parti, all’epoca conviventi, come lamentato dal convenuto, quanto il fatto che tale circostanza, in uno con la scortesia manifestata dall’attrice nei confronti dei familiari del futuro marito, fosse diventata per la coppia motivo di aspri litigi, rendendo la convivenza intollerabile”.