La sentenza della Corte di Cassazione, Sez. I, n. 5492 del 7 marzo 2018 con riguardo ad una vicenda che riguarda una donna che aveva contratto una pluralità di prestiti con la Findomestic, un mutuo Inps con cessione del quinto della pensione, un prestito di € 40.000,00 con la figlia, e aveva debiti per spese condominiali, debiti per € 34.000,00 con un bar di cui la metà per l’acquisto di gratta e vinci.
Il tutto a fronte della percezione di una pensione di € 1.600,00 mensili, esercitando la sua funzione di nomofilachia, ha statuito che “può essere adottata la misura dell’amministrazione di sostegno per chi dona o sperpera con eccessiva facilità, ossia per colui assume un comportamento prodigo.
Invero la prodigalità configura una causa autonoma di inabilitazione, ovvero dell’applicazione della misura di protezione più flessibile e rispettosa della persona quale è l’amministrazione di sostegno, indipendentemente dal fatto che un simile comportamento derivi o meno da una specifica malattia o da una infermità, e quindi anche nel caso in cui si tratti di una precisa scelta di vita, espressione del libero arbitrio dell’individuo, purché sia ricollegabile a motivi futili”.
Tribunale di Modena, Sez. II Civile, 3 novembre 2017. Est. Masoni
La vicenda trae origine dalla richiesta di nomina di un amministratore di sostegno da parte dei figli di un uomo, il quale aveva dissipato il proprio patrimonio vivendo al di sopra delle proprie possibilità. In particolare, dopo aver condotto una vita di eccessi, si era ritrovato fortemente impoverito e dunque nullatenente.
Viveva, infatti, con una modesta pensione (di € 400,00) in un appartamento comodatogli dal nipote. Risultava pacifico che l’uomo, non era affetto da alcuna patologia psichiatrica, né è stato in cura psichiatrica.
Per queste motivazioni, i figli dell’uomo, si rivolgevano al Giudice tutelare, chiedendogli che gli venisse affiancato un amministratore di sostegno in grado di limitare i gravi danni di natura patrimoniale che il padre continuava a perpetrare.
Il Tribunale, investito della questione, riteneva però di non poter accogliere la richiesta, innanzitutto, per quanto disposto dall’art. 414 del c.c, il quale prevede, come condizione necessaria per la dichiarazione di inabilità, la sussistenza di un’infermità mentale. Più specificamente, il secondo comma del suddetto articolo, sancisce la possibilità di essere dichiarati inabili, per coloro che per prodigalità espongono sé stessi o la loro famiglia a gravi pregiudizi economici. Il giudice tutelare, fornendo un’interessante interpretazione della norma, ha quindi rilevato che la prodigalità non implica la prova dell’infermità mentale, bensì dell’attitudine a dissipare il proprio patrimonio. A meno che, tale condotta non sia la conseguenza di un impulso patologico, che priva il soggetto della facoltà di valutare lucidamente le conseguenze degli atti che compie.
Se, infatti, manca questo legame tra condotta sregolata e patologia, vuol dire che il soggetto ha agito consapevolmente e dunque l’ordinamento non può prevaricare sulla libera scelta dell’individuo di utilizzare il proprio patrimonio.
Per questi motivi, data l’assenza di comprovata patologia, il Tribunale ha rigettato il ricorso, non ammettendo la nomina dell’amministratore di sostegno per il prodigo.