La Corte di Appello di Torino ha infatti riconosciuto che ripetuti ed intenzionali comportamenti offensivi, denigratori e degradanti, soprattutto se posti in essere in pubblico, ben possono costituire causa di addebito della separazione.
I giudici torinesi hanno testualmente affermato che “i comportamenti dello S. (il marito) erano irriguardosi e di non riconoscimento della partner: lo S. additava ai parenti ed amici la moglie come persona rifiutata e non riconosciuta, sia come compagna che sul piano della gradevolezza estetica, esternando anche valutazioni negative sulle modeste condizioni economiche della sua famiglia di origine, offendendola non solo in privato ma anche davanti agli amici, affermando pubblicamente che avrebbe voluto una donna diversa e assumendo nei suoi confronti atteggiamenti sprezzanti ed espulsivi, con i quali la invitava ripetutamente ed espressamente ad andarsene di casa” e che “il marito curò sempre e solo il rapporto di avere, trascurando quello dell’essere e con comportamenti ingiuriosi, protrattisi e pubblicamente esternati per tutta la durata del rapporto coniugale ferì la T. (la moglie) nell’autostima, nell’identità personale e nel significato che lei aveva della propria vita”.
La Corte di Appello di Torino parlava espressamente di mobbing, prendendo in considerazione “il rifiuto, da parte del marito, di ogni cooperazione, accompagnato dalla esternazione reiterata di giudizi offensivi, ingiustamente denigratori e svalutanti nell’ambito del nucleo parentale ed amicale, nonché delle insistenti pressioni – fenomeno ormai internazionalmente noto come mobbing - con cui lo S. invitava reiteratamente la moglie ad andarsene”.
La Corte territoriale ha ritenuto che tali comportamenti sono “violatori del principio di uguaglianza morale e giuridica dei coniugi posto in generale dall’art. 3 Cost. che trova, nell’art. 29 Cost., la sua conferma e specificazione” e conclude nel senso che al marito “deve essere ascritta la responsabilità esclusiva della separazione, in considerazione del suo comportamento contrario ai doveri (diversi da quelli di ordine patrimoniale) che derivano dal matrimonio, in particolare modo al dovere di correttezza e di fedeltà”.
Tribunale di Milano con sentenza del 22 agosto 2002 ha statuito che “gli elementi costitutivi del mobbing sono stati indicati dal e precisamente: l’aggressione o persecuzione di carattere psicologico; la sua frequenza, sistematicità e durata nel tempo; il suo andamento progressivo; le conseguenze patologiche gravi che ne derivano per il lavoratore mobbizzato.
Pertanto una serie ripetuta e coerente di atti e comportamenti materiali che trovano una ratio giustificatrice nell’intento di isolare, di emarginare e fors’anche di espellere la vittima dall’ambiente di lavoro”.
Tribunale di Napoli con sentenza del 27 settembre 2007 ha affermato come: “la continua denigrazione di un coniuge da parte dell’altro, integrando il cd. mobbing, può comportare l’addebito della separazione al coniuge responsabile di tali abusi” dove, però, il responsabile degli abusi era la moglie!