Indagini su violenze domestiche e maltrattamenti familiari
Indagini personali coniugali e familiari
Gli atti di maltrattamento, sono gravemente lesivi della privacy dell’individuo e dimostrano, per la scarsa considerazione e rispetto della persona offesa.
Prospettati dalla giurisprudenza
In ambito lavorativo le pratiche persecutorie realizzate ai danni del lavoratore dipendente e finalizzate alla sua emarginazione (c.d. "mobbing") possono essere sussunte sotto la previsione normative del delitto di cui all'art. 572 c.p., anche nel testo modificato dalla l. n. 172 del 2012 esclusivamente se, il rapporto tra il datore di lavoro ed il dipendente assuma una natura para-familiare, in quanto caratterizzato da relazioni intense ed abituali, da consuetudini di vita tra i soggetti, dalla soggezione di una parte nei confronti dell'altra, dalla fiducia riposta dal soggetto più debole del rapporto nei confronti di che ricopra la posizione di supremazia.
Nella specie, la Corte pur escludendo la configurabilità del delitto di maltrattamenti, ha annullato con rinvio la sentenza assolutoria perché il giudice valutasse se i disturbi ansioso-depressivi lamentati dalla vittima potessero integrare il delitto di lesioni personali - Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 28603 del 3 luglio 2013.
Integra il delitto di maltrattamenti in famiglia il genitore che tenga nei confronti del figlio minore comportamenti iperprotettivi tali da incidere sullo sviluppo psicofisico dello stesso, a prescindere dal fatto che il minore abbia o meno percepito tali comportamenti come un maltrattamento o vi abbia acconsentito.
La fattispecie era di una madre che, in concorso con il nonno del minore, aveva nel tempo e fino all'età preadolescenziale di quest'ultimo, posto in essere atteggiamenti qualificati dal giudice del merito come “eccesso di accudienza” e consistiti nell'impedire rapporti coi coetanei, nell'esclusione del minore dalle attività inerenti la motricità, anche quando organizzate in ambito scolastico, nonché nell'induzione della rimozione della figura paterna abitualmente connota in termini negativi, al punto ad impedire allo stesso minore di utilizzare il cognome del padre - Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 36503 del 10 ottobre 2011
Con la sentenza n. 32781/2019, la VI Sezione penale della Corte di Cassazione ha statuito che i comportamenti di controllo della vita sociale e intima della persona offesa non perdono la loro valenza invasiva e la loro carica di vessatorietà solo perché determinati dalla gelosia; inoltre tali atti sono gravemente lesivi della privacy dell’individuo e dimostrano, per la scarsa considerazione e rispetto della persona offesa, una volontà e condotta di prevaricazione, con correlativa soggezione della vittima, elementi caratterizzanti il delitto di cui all’art. 572 c.p.
Prospettati dalla giurisprudenza
In ambito lavorativo le pratiche persecutorie realizzate ai danni del lavoratore dipendente e finalizzate alla sua emarginazione (c.d. "mobbing") possono essere sussunte sotto la previsione normative del delitto di cui all'art. 572 c.p., anche nel testo modificato dalla l. n. 172 del 2012 esclusivamente se, il rapporto tra il datore di lavoro ed il dipendente assuma una natura para-familiare, in quanto caratterizzato da relazioni intense ed abituali, da consuetudini di vita tra i soggetti, dalla soggezione di una parte nei confronti dell'altra, dalla fiducia riposta dal soggetto più debole del rapporto nei confronti di che ricopra la posizione di supremazia.
Nella specie, la Corte pur escludendo la configurabilità del delitto di maltrattamenti, ha annullato con rinvio la sentenza assolutoria perché il giudice valutasse se i disturbi ansioso-depressivi lamentati dalla vittima potessero integrare il delitto di lesioni personali - Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 28603 del 3 luglio 2013.
Integra il delitto di maltrattamenti in famiglia il genitore che tenga nei confronti del figlio minore comportamenti iperprotettivi tali da incidere sullo sviluppo psicofisico dello stesso, a prescindere dal fatto che il minore abbia o meno percepito tali comportamenti come un maltrattamento o vi abbia acconsentito.
La fattispecie era di una madre che, in concorso con il nonno del minore, aveva nel tempo e fino all'età preadolescenziale di quest'ultimo, posto in essere atteggiamenti qualificati dal giudice del merito come “eccesso di accudienza” e consistiti nell'impedire rapporti coi coetanei, nell'esclusione del minore dalle attività inerenti la motricità, anche quando organizzate in ambito scolastico, nonché nell'induzione della rimozione della figura paterna abitualmente connota in termini negativi, al punto ad impedire allo stesso minore di utilizzare il cognome del padre - Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 36503 del 10 ottobre 2011
Con la sentenza n. 32781/2019, la VI Sezione penale della Corte di Cassazione ha statuito che i comportamenti di controllo della vita sociale e intima della persona offesa non perdono la loro valenza invasiva e la loro carica di vessatorietà solo perché determinati dalla gelosia; inoltre tali atti sono gravemente lesivi della privacy dell’individuo e dimostrano, per la scarsa considerazione e rispetto della persona offesa, una volontà e condotta di prevaricazione, con correlativa soggezione della vittima, elementi caratterizzanti il delitto di cui all’art. 572 c.p.