Truffa permessi 104: doveva accudire il padre ma viaggiava all'estero
Controllo dipendenti
Aveva ottenuto il diritto ad assentarsi grazie a permessi retribuiti, ai sensi della legge 104/92, giustificando l'esigenza con il fatto che aveva il padre disabile.
Le forze dell'ordine hanno scoperto che ne approfittava per viaggiare all'estero o fare sport in località anche molto distanti dalla sua abitazione.
Per questo, una donna italiana di 44 anni, dipendente dell'Azienda socio sanitaria territoriale (Asst) di Pavia e in servizio all'ospedale civile di Vigevano, è finita nei guai: è stata infatti denunciata a piede libero dai carabinieri della compagnia locale per truffa aggravata e ora rischia non solo con ogni probabilità il licenziamento «per giusta causa», ma anche di dover rimborsare fino all'ultimo centesimo l'ente per cui presta servizio proprio per quelle giornate di cui ha usufruito per scopi molto diversi da quelli previsti dalla legge.
Se infatti è assodato che il lavoratore che usufruisce del permesso non è tenuto a dover prestare l'assistenza al malato in questione in maniera continuativa per le 24 ore delle giornata di permesso o durante tutte le ore in cui avrebbe dovuto lavorare, ciò non toglie che lui o lei, come in questo caso, debbano avere come assoluta priorità proprio il controllo e il sostegno al familiare disabile.
Le esigenze aziendali sono chiamate infatti a indietreggiare di fronte alle improcrastinabili necessità di assistenza e di tutela del diritto del disabile, ma nel caso in cui il lavoratore abusi dei permessi 104, con conseguente violazione del vincolo fiduciario che deve caratterizzare il rapporto di lavoro, il suo titolare è legittimato a procedere al licenziamento per giusta causa del dipendente «furbetto».
In questo caso specifico di Vigevano è stata infatti proprio l'Azienda sanitaria a richiedere l'intervento dei carabinieri che hanno cominciato a indagare sulla vita della 44enne in questione, sulla cui sincerità evidentemente i vertici dell'Asst di Pavia avevano dubbi, pare anche in seguito a delle segnalazioni di altri dipendenti.
E ora l'Azienda ha prove sufficienti, come è accaduto già in altre ditte private che avevano assoldato per le verifiche del caso degli investigatori privati, per inchiodare la donna alle sue responsabilità.
Le forze dell'ordine hanno scoperto che ne approfittava per viaggiare all'estero o fare sport in località anche molto distanti dalla sua abitazione.
Per questo, una donna italiana di 44 anni, dipendente dell'Azienda socio sanitaria territoriale (Asst) di Pavia e in servizio all'ospedale civile di Vigevano, è finita nei guai: è stata infatti denunciata a piede libero dai carabinieri della compagnia locale per truffa aggravata e ora rischia non solo con ogni probabilità il licenziamento «per giusta causa», ma anche di dover rimborsare fino all'ultimo centesimo l'ente per cui presta servizio proprio per quelle giornate di cui ha usufruito per scopi molto diversi da quelli previsti dalla legge.
Se infatti è assodato che il lavoratore che usufruisce del permesso non è tenuto a dover prestare l'assistenza al malato in questione in maniera continuativa per le 24 ore delle giornata di permesso o durante tutte le ore in cui avrebbe dovuto lavorare, ciò non toglie che lui o lei, come in questo caso, debbano avere come assoluta priorità proprio il controllo e il sostegno al familiare disabile.
Le esigenze aziendali sono chiamate infatti a indietreggiare di fronte alle improcrastinabili necessità di assistenza e di tutela del diritto del disabile, ma nel caso in cui il lavoratore abusi dei permessi 104, con conseguente violazione del vincolo fiduciario che deve caratterizzare il rapporto di lavoro, il suo titolare è legittimato a procedere al licenziamento per giusta causa del dipendente «furbetto».
In questo caso specifico di Vigevano è stata infatti proprio l'Azienda sanitaria a richiedere l'intervento dei carabinieri che hanno cominciato a indagare sulla vita della 44enne in questione, sulla cui sincerità evidentemente i vertici dell'Asst di Pavia avevano dubbi, pare anche in seguito a delle segnalazioni di altri dipendenti.
E ora l'Azienda ha prove sufficienti, come è accaduto già in altre ditte private che avevano assoldato per le verifiche del caso degli investigatori privati, per inchiodare la donna alle sue responsabilità.