Gli oltraggi che rientrano nella categoria di questo reato comprendono la distruzione, deteriorazione e alterazione di sistemi informatici e telematici altrui, rendendoli inutilizzabili; ciò ha valenza sia nel momento in cui l’atto venga compiuto per trarne profitto sia per questioni di “vandalismo informatico”.
È prevista una figura aggravata di reato se ricorrono le circostanze previste dal secondo comma dell'art. 635 per il danneggiamento, oppure con l'abuso della qualità di operatore del sistema.
La questione del danneggiamento informatico entra per la prima volta nello scenario legislativo italiano, a seguito di indicazioni da parte del Consiglio d’Europa nel 1985.
Difatti il ministro Giulio Vassalli istituì una commissione apposita avente la finalità di "elaborare un progetto contenente le linee di una riforma del diritto penale diretta a far fronte alle nuove realtà informatiche".
Dal punto di vista della tecnica legislativa uno dei principi cardine è stato il divieto di analogia in materia penale.
Il testo attualmente in vigore dell’art. 635 bis (Danneggiamento di informazioni, dati e programmi informatici), recita quanto segue: “Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque distrugge, deteriora, cancella, altera o sopprime informazioni, dati o programmi informatici altrui è punito, a querela della persona offesa, con la reclusione da sei mesi a tre anni.
Se il fatto è commesso con violenza alla persona o con minaccia ovvero con abuso della qualità di operatore del sistema, la pena è della reclusione da uno a quattro anni.”
La disposizione è stata novellata dalla legge 18 marzo 2008 n. 48, recante la ratifica ed esecuzione della Convenzione del Consiglio d'Europa sulla criminalità informatica, fatta a Budapest il 23 novembre 2001, e norme di adeguamento dell'ordinamento interno, e più recentemente dall’art. 2, comma 1, lett. m), D.Lgs. 15 gennaio 2016, n. 7, che ha modificato il secondo comma.
L'art. 635 bis prevede espressamente che la sua applicazione non avvenga quando fattispecie simili costituiscono più gravi reati.
Viene, infatti considerato reato autonomo quello previsto e punito dall'art 420 c.p. Attentato a impianti di pubblica utilità Chiunque commette un fatto diretto a danneggiare o distruggere impianti di pubblica utilità, è punito, salvo che il fatto costituisca più grave reato, con la reclusione da uno a quattro anni.