Il termine deriva dall'uso di epoca medievale di rompere il tavolo e la panca o cassa di legno del banchiere divenuto insolvente. È un tipico reato connesso al fallimento.
Può essere semplice (cagionata da imprudenza) o fraudolenta (frode diretta ad aggravare l'insolvenza e a violare le legittime aspettative dei creditori).
I connotati della fraudolenta sono riconducibili nel complesso a un'attività di dissimulazione delle proprie disponibilità economiche reali, oppure a un'attività di destabilizzazione del proprio patrimonio, diretta a realizzare una insolvenza, anche apparente, nei confronti dei creditori.
L'esistenza di una sentenza dichiarativa di fallimento è però necessaria perché si possano configurare dei reati fallimentari.
Il reato di bancarotta è previsto da una norma approvata nel Regio Decreto 16 marzo 1942, n. 267 dagli artt. 216 e seguenti, ed è basato sul concetto di fallimento.
Il fallimento è definito come una procedura concorsuale (che prevede cioè il concorso di tutti i creditori in posizione di parità, salvo cause di prelazione quali possono essere pegno o ipoteca) rivolta alla realizzazione coattiva delle pretese creditorie che l'imprenditore commerciale non riesce più a soddisfare per il suo stato di insolvenza.
In Italia può essere dichiarato fallito soltanto un imprenditore, a differenza di altri Stati, quali ad esempio gli USA, il Regno Unito o la Germania, dove è consentito a chiunque dichiarare fallimento personale.
Il fallimento discende sempre da una sentenza dichiarativa a opera del tribunale del luogo in cui l'imprenditore ha la sede principale, e ha due funzioni: accertare l'insolvenza dell'imprenditore e fare in modo che le pretese dei creditori abbiano una adeguata tutela nonostante la criticità della situazione economica del debitore.
Esistono due tipi di bancarotta, a seconda dell'elemento soggettivo-psicologico che le caratterizza:
- la bancarotta fraudolenta (art. 216 R.D. n. 267/1942) richiede il dolo specifico, inteso come coscienza e volontà di commettere il delitto, con l'intenzione di cagionare un danno alla massa creditizia.
- la bancarotta semplice (art. 217 R.D. 267/1942) che può essere integrata a titolo di dolo semplice o anche a titolo di colpa, vale a dire per imprudenza, negligenza, imperizia.
La bancarotta fraudolenta
È prevista dall'art. 216 R.D. n. 267/1942; di questo reato è chiamato a rispondere l'imprenditore fallito che abbia dolosamente:
- prima o durante il fallimento: distratto, occultato, dissimulato, distrutto o dissipato, in tutto o in parte, i suoi beni, ovvero, al fine di arrecare danno ai creditori, abbia esposto o riconosciuto delle passività inesistenti;
- prima del fallimento: sottratto, distrutto o falsificato in tutto o in parte, al fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o al fine di procurare danno ai creditori, i libri e le altre scritture contabili o li abbia tenuti in modo tale da rendere impossibile la ricostruzione del patrimonio o del reale movimento degli affari;
- prima o durante la procedura fallimentare: eseguito pagamenti o simulato titoli di prelazione, al fine di favorire alcuni creditori a danno di altri.
La pena, per le prime due ipotesi, è della reclusione da 3 a 10 anni; per la terza, da 1 a 5 anni. Pena accessoria, di non secondaria importanza per la tutela del corretto svolgimento delle attività economiche, è l'inabilitazione per 10 anni all'esercizio dell'impresa commerciale e l'incapacità, per la stessa durata, a esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa.
Si procede d'ufficio e la competenza è del tribunale in composizione collegiale. Sono applicabili le misure cautelari personali; l'arresto in flagranza è sempre facoltativo; il fermo è consentito per le prime tre ipotesi.
La bancarotta semplice
È prevista dall'art. 217 R.D. n. 267/1942; risponde di tale reato l'imprenditore fallito che:
- abbia effettuato spese di carattere personale o familiare che siano eccessive o sproporzionate in ragione della sua condizione economica;
- abbia impiegato larga parte del proprio patrimonio in operazioni puramente aleatorie (ossia di dubbia sorte già in partenza, affidate al caso, da alea, il latino "dado"; la legge usa qui la locuzione "di pura sorte");
- abbia compiuto operazioni di grave imprudenza per ritardare il fallimento;
- abbia aggravato il proprio dissesto, astenendosi dal richiedere la dichiarazione di fallimento o con altra forma di colpa grave;
- non abbia soddisfatto le obbligazioni assunte in un precedente concordato preventivo o fallimentare.
La pena va da sei mesi a due anni di reclusione. La stessa pena si applica al fallito che nei tre anni antecedenti alla dichiarazione di fallimento ovvero dall'inizio dell'impresa, se questa ha avuto una minore durata, non ha tenuto i libri e le altre scritture contabili prescritti dalla legge, oppure li ha tenuti in maniera irregolare o incompleta.
La condanna importa la pena dell'inabilitazione all'esercizio dell'impresa e a esercitare uffici direttivi presso qualsiasi altra impresa fino a 2 anni.
Vi sono ulteriori definizioni di bancarotta che meritano attenzioni e specificano le previsioni dei due citati articoli:
- Bancarotta documentale: si verifica quando l'imprenditore abbia distrutto, sottratto o falsificato in tutto o in parte le scritture contabili per recar danno ai creditori.
Questa condotta impedisce di ricostruire il reale andamento dell'impresa, con pregiudizio dei creditori che saranno nell'impossibilità di individuare o accertare eventuali attività su cui soddisfare le proprie pretese.
- Bancarotta cosiddetta impropria: si verifica quando i fatti descritti dagli artt. 216-217 della legge fallimentare (il citato Regio Decreto) sono compiuti da soggetti diversi dall'imprenditore, quali ad esempio amministratori, direttori generali, sindaci o liquidatori di società dichiarate fallite.
- Bancarotta postfallimentare: si verifica quando l'imprenditore fallito sottrae alla massa attiva destinata alla liquidazione, dei beni che gli pervengano in ragione della propria attività.
Questa specifica fattispecie di reato è configurata solo se l'entità di quanto viene sottratto al patrimonio fallimentare da parte del fallito supera ciò che è quantificato dal giudice (nella sentenza dichiarativa) come necessario per le esigenze di mantenimento della famiglia.
- Bancarotta preferenziale: lede principalmente la "par condicio creditorum", ossia proprio quella particolare forma concorsuale che il fallimento prevede a garanzia della totalità dei creditori.
È prevista dall'art 216, comma terzo della l.fallimentare e si verifica quando l'imprenditore, prima o dopo la dichiarazione di insolvenza, agevoli un creditore con pregiudizio rispetto ad altri. L'atto deve rivelarsi di favore per uno e di danno e gli altri.
Non si verifica ad esempio se il fatto è funzionale ad altri scopi: si pensi al pagamento di un creditore effettuato dall'imprenditore con il preciso scopo di farlo desistere dal richiedere dichiarazione di fallimento nei suoi confronti.